venerdì, dicembre 01, 2006

il dover amare

una citazione, come assaggio, dedicata a chi so io!
S Kierkegaard, Gli atti dell’amore

II precetto dell’amore del prossimo parla allora, con la stessa espressione “come te stesso”, di questo amore e dell’amore a se stesso – ed ora si dà fine all’introduzione del discorso con ciò che si desidera far oggetto di meditazione. Si tratta che sia il precetto dell’amore del prossimo sia quello dell’amore a se stessi coincidono: non si tratta soltanto del “come te stesso”, ma ancor piú del “tu devi”. È di questo che vogliamo parlare.
Tu “devi” amare,
poiché questo è il distintivo dell’amore cristiano e la sua caratteristica, cioè di contenere un’apparente contraddizione: che l’amare è un dovere.
Tu devi amare: questa è quindi la formula della “legge regale”. E in verità, mio uditore, se tu riesci a farti un’idea di com’era la figura del mondo prima che questa formula fosse pronunziata, o se tu aspiri a conoscere te stesso e consideri la vita e la situazione di spirito di coloro i quali, benché si chiamino cristiani, vivono in fondo nelle categorie del paganesimo: allora rispetto a questa realtà cristiana, come rispetto a tutto ciò ch’è cristiano, confesserai umilmente con l’ammirazione della fede che “una cosa simile non è sorta nel cuore di nessun uomo” [1 Cor. 2,9 ]. Infatti ora, poiché questo è stato comandato per 18 secoli di Cristianesimo e prima al tempo del Giudaismo; ora, poiché è stato insegnato ad ognuno: [avviene], in senso spirituale, come colui il quale, educato nella casa di genitori agiati, è quasi portato a dimenticare che il pane quotidiano è un dono. Ora, ecco che la realtà cristiana è molte volte rifiutata da parte di coloro che in essa sono stati educati, è rifiutata rispetto alle novità di ogni genere, è rifiutata come il cibo sano da parte di chi non è stato mai affamato, è respinta rispetto ai dolciumi; ora, ecco che la realtà cristiana è presupposta, presupposta come arcinota, come data, indicata “per andare oltre”. Ora quel precetto si recita certamente senz’altro da chiunque: ahimè, forse quant’è raro che qualcuno ci badi forse quant’è raro che un cristiano rifletta sul serio a quale sarebbe la sua condizione se il Cristianesimo non fosse entrato nel mondo! Quale coraggio però non ci vuole per dire la prima volta: “tu devi amare”, o piú esattamente quale autorità divina non occorre per capovolgere le idee e i concetti dell’uomo naturale! Poiché lí dove la lingua umana si ferma, in questo limite la Rivelazione entra con originalità divina e predica ciò che non è difficile alle menti profonde ed esperte delle cose umane, [36] ma che però “non sarebbe mai sorto nel cuore di un uomo” [1 Cor. 2,9]. In fondo, ciò non è difficile da capire una volta ch’è stato detto, e vuole essere compreso soltanto per essere messo in pratica, ma esso non è sorto nel cuore di nessun uomo. Prendi un pagano che non sia ancora abituato all’imparare sbadatamente la realtà cristiana come una filastrocca, oppure non ancora abituato all’idea di essere cristiano – ecco allora che questo precetto: “Tu devi amare”, non soltanto lo spaventerà, ma ecciterà la sua riflessione, gli sarà di scandalo. Proprio per questo si adatta al precetto dell’amore ciò ch’è segno distintivo della realtà cristiana: “Tutto è diventato nuovo” [2 Cor. 5, 17]. Il precetto non è a caso qualcosa di nuovo, ma non è una novità nel senso di curiosità, né una novità nel senso temporale. L’amore è esistito anche nel paganesimo: ma questa di dover amare è un’esigenza dell’eternità – e tutto è diventato nuovo. Che differenza da quel gioco di forze del sentimento, dell’istinto, dell’inclinazione e della passione, in breve dell’immediatezza, da quella magnificenza della poesia che canta con sorriso o in lagrime, con desiderio e auspicio: che differenza fra questo e la serietà del comando dell’eternità in spirito e verità, in sincerità e abnegazione!
Ma l’ingratitudine umana, quant’ha la memoria corta! Infatti la cosa piú alta che ora è offerta ad ognuno, la si considera un nulla; non fa nessuna impressione; né tanto meno se ne apprezza la preziosità, per il fatto che tutti hanno o possono avere la stessa cosa. Invece, se una famiglia possiede qualche gioiello prezioso che richiama qualche evento familiare, si racconta di generazione in generazione, dai padri ai figli e dai figli ancora ai loro figli, come le cose sono andate. Ma perché ora, dopo che il Cristianesimo da tanti secoli è diventato la proprietà del genere umano, si tace della rivoluzione dell’eternità che il Cristianesimo ha introdotto nel mondo? Forse che ogni generazione non è ugualmente vicina, sí da essere obbligata ad averne un’idea chiara? La rivoluzione portata dal Cristianesimo è forse meno importante per il fatto ch’è accaduta 18 secoli fa? È forse ora diventato anche meno importante il fatto ch’esiste un Dio, perché per tanti secoli molte generazioni hanno creduto in Lui? Ed è per me diventato meno importante – credere in Lui? E colui che vive ai nostri giorni, forse ch’è cristiano da 18 secoli per il fatto che il Cristianesimo è entrato nel mondo 18 secoli fa? Però non è passato tanto tempo e si può benissimo ricordare com’era l’uomo prima di diventare cristiano, quale rivoluzione esso ha causato – qualora il divenire cristiano abbia prodotto una rivoluzione. Non c’è affatto bisogno di esposizioni storico-universali di cos’era il paganesimo, come se esso fosse scomparso 18 secoli fa; poiché non è da molto tempo che tu, mio uditore, ed io eravamo pagani, di certo – anche se comunque siamo diventati cristiani.
S Kierkegaard, Gli atti dell’amore, Rusconi, Milano, 1983, pagg. 170-173

1 commento:

ablar ha detto...

è in questo che consiste la meditazione suggerita da kierkegaard ...
credo che la compassione sia "amore in azione", ma non credo per dovere ma per fiducia ... per fede. Il dover amare è una trascendenza necessaria ai tempi e forse ancora necessaria ... non saprei ... quindi continuo a meditare, perchè in fondo ricordo più di essere pagana che cristiana!