giovedì, novembre 30, 2006

confusione

Ieri ho aperto il giornale. Solo ieri, direte voi?No, di solito spesso, anche per lo stage in cui sono impegnata..... ma da un pò sono stanca. Putin mandante dell'avvelenamento da Polonio radiottivo dell'ex spia del Kgb, che aveva informazioni sulla morte della giornalista critica del'regime'... altre persone innocenti contaminate....untori postmoderni che per ucciderne uno seminano morte fra mille
Promesse governative disattese. Questo governo avevva promesso molto sulla scuola, invece taglia alla pubblica e dà alla privata. Anzi..Cancella le graduatorie, cosa mai osata neppure in precedenza.
Continuo: il poliziotto che ha ucciso Giuliani ha in realtà sparato in aria nonostante lo si veda ripreso più volte con la mano tesa e la pistola puntata.... sarà stato un fotomontaggio.
Carneficina quotidiana in Iraq grazie alle forze di pace che hanno fatto, di fatto, divampare i conflitti interreligiosi... geogiani deportati...ecc.ecc.
Guardo solo il brutto della vita?
Mi sembra che i buoni sentimenti siano praticati solo dalla gente comune e aliena dalla sfera del potere, insomma che i codici morali non coincidano e che appena si sale vigano altre regole. Come se quelli che ci governano debbano essere per forza farabutti e mentitori. Ma quello che mi spaventa di più è questa vita liquida e senza confini. Niente ha più un nome, tutto si stempera, verità e bugia si rincorrono fino alla confusione dell'una nell'altra, niente è più netto, definito, risonante. Niente è più skandalon, ossia ostacolo su cui fermarsi, riflettere, e, se possibile, superare... pensiamo ai rapporti così annacquati dove nulla ti dice cosa stai vivendo, e non lo sai neppure tu, o all'amicizia anche tra persone che non si stimano nè si amano.
Quando ero più piccola amavo le cose definite, i valori assoluti, pensavo che verità e menzogna fossero distanti anni luce, davo un nome alle cose. Ora sono sconcertata da questa impossiilità di seguire una strada assoluta, netta, chiara. Ma se si arriva a tutto ciò non è possibile che si perdano anche i confini di ciò che è bene, ciò che è male?

lunedì, novembre 27, 2006

spiegare cosa è fascismo


"Mamma, molti compagni di classe sono fascisti, ma io no, non ti preoccupare" ...
mi verrebbe da rispondere:
"Figlia, tu sai cosa significa esserlo e cosa significa non esserlo?"
"Figlia tu sai che posso provare a spiegarti cosa è fascismo, ma non saprei spiegarti cosa significa non esserlo?"
... un dialogo mancato, anzi il dialogo che manca ... forse il dialogo necessario tra generazioni.
Il fascismo raccontato dai nonni e dai genitori con più parsimonia. Il mio racconto si rifà, invece,
a quanto detto da Pasolini nel 1975 ... ricordate? "Gli scritti Corsari" ... si studiavano un tempo ... quando parlava del nuovo fascismo, dell'omologazione che realizza il sogno interclassista del vecchio potere fascista. Omologazione dovuta a un nuovo potere.
" Conosco, anche perchè le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo "Sviluppo": produrre e consumare.
L'identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti "moderati", dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perchè in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all'edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere è in realtà - se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma "totale" di fascismo. Ma questo Potere ha anche "omologato" culturalmente l'Italia: si tratta dunque di un'omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l'imposizione dell'edonismo e della joie de vivre.
Il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l'omologazione brutalmente totalitaria del mondo".
Come lo spiego a mia figlia?

domenica, novembre 26, 2006

mi presento

Salve,
mi presento. Non sono un nuovo contributors (anche perchè non so cosa voglia dire), però volevo ugualmente scrivere una cosa:
In realtà non ho nulla da dirvi, ma mi stanno facendo pressione affinchè lo faccia, quindi sono cosretto a scrivere due righe di nulla!
Eccole.
Ciao a tutti!
P.S. dall'originale. In raeltà non lo conosco ma si èa ppropriatodella mia password

venerdì, novembre 24, 2006

la fede

Ieri sono stata bacchetata per il fatto di essere una donna di poca fede. Insomma, quel che mi sta accadendo per qualcuno è la prova concreta della necessità di un mio cambio di marcia, di una mia fede.
La fede...Che cosa è la fede? Secondo il cattolicesimo è una delle tre virtù teologali: fede speranza e carità: ne comprendo perfettamente il nesso. Se non hai fede non hai speranza e non ami nel senso di quella profonda vitalità che ognuno ha dentro , l'energia che muove 'il cielo e l'altre cose' e che ci anima.
Secondo alcuni è una sorta di fiducia primordiale, quella dell'infante che si affida al seno della madre, senza se e senza ma. Ma quando la vita ti ha fatto lo sgambetto più di una volta, quando il circolo è solo vizioso, che cosa è la fede?
Credere nei valori che muovono l'umanità? Bè allora sono piena di fede al punto da dire che scomparsi quelli meglio morire e che 'preferirei essere considerata trai gonzi che credono' che beata tra i cinici che hanno triturato ogni cosa.
Fede nel movimento, nel cambiamento? Ma il cambiamento può essere letto da diversi punti di vista, quella che per noi è la seconda rivoluzione industriale per i popoli asiatici è africani è l'imperialismo..., il senso rimane senso per noi se riusciamo a costruirlo, sempre se.... e mi manca quell'orizzonte assoluto alla luce del quale stringere in una catena significante gli eventi tutti. O forse non ci rassegniamo alla cieca casualità delle cose? O forse la lotta è proprio tra questo, la cieca casualità e la necessità di costruire un senso , il deserto contro l'uomo.....
Non lo so. Mi si chiede di credere, che è un fatto di spontaneità, con uno scatto di volontà, di volizione. E parafrasando Don Abbondio: "Ma se uno la fede non se la può dare?".
Allora è davvero solo un fatto di scelta. LO scelgo e amo la mia scelta, ma so che questa scelta è una lotta continua contro la disgregazione. Ma scelgo di lottare anche senza quella meravigliosa spontaneità della fede che mi viene decantata. Forse se c'è un Qualcosa o Qualcuno mi manderà la sua colombella dal cielo.....

solitudine



Quella della solitudine è una condizione esistenziale che ognuno di noi ha frequentato tante volte nella vita e certo fino alla morte continuerà a frequentare. La solitudine non è certo un’esperienza piacevole e tuttavia vorrei provare a cogliere alcuni suoi positivi aspetti. Non voglio percorrere la strada del vittimismo velato dal compiacimento sottile di uno stato d’animo che troppo spesso è presentato come manifestazione di grande sensibilità. Vorrei soltanto sostenere che la solitudine è semplicemente la condizione della persona adulta.
Da adulti in più di una circostanza non si può chiedere agli altri la soluzione di un proprio problema; meno che mai si può pretendere che gli altri facciano quello che si deve fare per noi stessi. In questi casi gli altri non si sentono di partecipare a delle scelte che sono personali e nelle quali non si può o non si dovrebbe entrare.
Ecco che ci si scopre appunto di essere soli. E non è una scoperta piacevole. Ma non si scopre solo questo. Si capisce, ed è una scoperta forse ancora più dolorosa, che gli altri non hanno la forza, l’autorità necessarie per fare al posto di un altro ciò che deve essere fatto dal soggetto interessato.
Si entra così in una condizione di relativismo esistenziale e psicologico in cui non ci sono più certezze assolute.
Quando alle volte mi capita di dire a mia figlia "Si fa così, e basta!" e nonostante la contrarietà che la frase può provocarle so che apprezzerà la fiducia che accompagna quelle parole. In fondo alla fine sento che gradisce la mia partecipazione ai problemi e soprattutto le mie certezze.
Arriverà anche per lei il tempo, se per certi versi non è già arrivato, che mi coglierà ignorante e impotente nel rimediare alle sue sofferenze, e anche lei sentirà di non essere più "contenuta" come prima. E' così per tutti.
Ecco il proprio vissuto di abbandono.
E la vita appare più vasta, con confini sempre più lontani e ad un certo punto senza più confini, infinita, sconosciuta, preoccupante e pericolosa.
Gradualmente si abbandonano gli investimenti sui primi oggetti d’amore, si torna al proprio narcisismo e, così, si soffre. In seguito si cerca l’altro per sfuggire a questa condizione di solipsismo, e si trova, ma per scoprire che è altro da sé.Allora si cerca l’amore che unisce, che fonde, tentativo di ripristino della simbiosi con la madre. Momenti belli, finalmente, ma molto faticosi.Man mano in realtà il cuore vorrebbe stringersi ad un altro essere umano, toccare qualcuno con mano, sentirsi toccare da mani altrui. Il cuore vuole qualcosa di gentile che lo comprenderà. Vuole, prima di ogni altra cosa, essere compreso.
Con il tempo magari stemperiamo le amarezze, imbrigliamo le paure, arriviamo a vivere con gioia certi momenti della vita; ma al fondo qualcosa dei rimpianti per le cose perdute e delle paure per gli appuntamenti futuri, tra i quali primo tra tutti quello con la morte, arriva come un mesto e silenzioso stato d’animo quasi invadente. S’impara anche a convivere con l’idea della morte. Ma quest’idea, tipica scoperta della condizione adulta, ci può portare ad un diverso modo di vedere le cose. Un modo "tragico".
In fondo è giusto che sia così.Vivere la vita come commedia, per paura o superficialità, è meno divertente di quanto alcuni possano pensare.La nobiltà dell’uomo è intrinseca alla sua stessa essenza: egli è nobile per il solo fatto di vivere, nelle sue paure, nei suoi errori, nell’accettazione incondizionata dei suoi limiti.

La solitudine è uno di questi limiti che però possiede una grande potenzialità: ha il compito, sano, di servire da arresto e da riflessione a un destino improprio, è uno stato d'animo che ha probabilmente lo scopo di denunciare il conflitto psichico risultante dal colludere delle nostre più intime inclinazioni con i dettami della collettività.La solitudine ci "consegna" all'altro, ci spinge verso nuove esperienze, è uno stato d'animo che funziona come un detonatore facendo esplodere la nostra innata necessità di socializzazione.Nella solitudine, in altre parole, siamo "noi stessi" con il desiderio dell'altro.

giovedì, novembre 23, 2006

bacchettoni

Ho conosciuto un uomo che appena beveva picchiava la sua donna. Perchè? Perchè non la accettava. La amava, tanto, ma non riusciuva ad accettarla. Lei era al di fuori dei suoi schemi di ricco borghese di destra. E così appena un bicchiere gli dava alla testa, giù botte. Ricordo che vinse lei, fu lei a non volerne più sapere, quando l'accettazione si era ormai fatta strada nel cuore di lui.
Ho conosciuto anche un uomo che ha sposato una donna vergine perchè la voleva così. Non importa che la vita matrimoniale sia diventata un inferno:aveva avuto quel che voleva. Ho conosciuto una donna che aveva lasciato il suo ragazzo perchè era troppo fragile per pensare con la sua testa. I genitori non lo approvavano. Uomini che dicono che la vogliono, la loro donna, tra i venti e i trenta, bella alta e sexy. Conosco gente che non vive per pensare. Anzi per emanare giudizi. Che non si lascia andare alla semplice conoscenza se prima l'etichetta non riceve il lasciapassare della testa. Eppure la novità è dietro l'angolo. Eppure se veramente ci si volesse conoscere lottando con quel nemico interno ed esterno, con gli schemi appresi, forse vi sarebbe la possibilità di parlare. Niente uccide la vita come il giudizio. Ma attenzione: ci sarà sempre qualcosa o qualcuno che metterà scompiglio con le nostre categorie. Allora, solo allora, sapremo quanto valiamo e quanto siamo capaci di amare....

mercoledì, novembre 22, 2006

i bugiardi benpensanti

Di fronte agli episodi di banale malvagità quotidiana cui stiamo assistendo, mi chiedo perchè continuiamo a meravigliarci...e che la sceneggiata messa in scena nel salotto di Vespa ieri sera da Fioroni e company, tra cui la Prestigiacomo è nauseante. Il male banale, come lo definisce la Arendt, ossia quello che non pensa, non si interroga, è frutto, tanto per rispondere alla Prestigiacomo che si scandalizza degli spinelli, del mutamento antropologico dell'Italia berlusconiana, nello specifico di una tv che inserisce nei palinsesti programmi dove si ride se il bambino cadendo si spacca la testa, senza fermarsi a chiedersi "Ma...si è fatto male?". E' frutto dei reality show con tanto di sesso in diretta, per cui la volgarità, il nulla assoluto fa spettacolo, e allora, dice il ragazzino trascurato dai genitori, voglio apparire un attimo. Fa ridere lui che cade? lo faccio cadere e lo metto in rete. Sono tutti belli, vincenti.Lui è debole, triste, solo...almeno che ci faccia ridere.Dei videogiochi dove lo scopo è seppellire viva una bambina, con tanto di allusioni al satanismo e al sesso perverso tra adolescenti.Il male dice la Arendt, quello capace di tutto, è figlio del nulla. Ma non è al nulla, per poter essere commercialmente qualsiasi cosa, qualsiasi genere di consumatore, che ci sta consegnando il circuito del mercato?E a Fioroni direi.. hai tolto alla scuola pubblica, hai cancellato le graduatorie dei precari, non ti stai battendo per maggiori investimenti per l'unico luogo, la scuola, dove davvero ancora si interagisce, a tu per tu, dove davvero si fa la prova dell'umano, dove i telefonini si devono spegnere, dove c'è ancora carta e penna e lavagna, dove ci si guarda negli occhi e non si farnetica da soli connessi con qualcos'altro lontano nello spazio e magari dalla realtà. E parli? Siamo quelli pagati di meno, noi che davvero dovremmo, come pretendi, perchè ordinare senza dare è pretendere, impegnarci con tutte le forze per diventare una sorta di bastione contro l'atomizzazione, la parcellizzazione, per la socializzazione, la solidarietà, l'educazione in tutti i sensi.... noi, noi docenti, siamo i colpevoli, alla fine? La società è allo sfascio per colpa nostra?
E se fosse allo sfascio per altro: per le teste alzate nei locali a seguire le improbabili modelle sul video anzichè parlare con chi è a fianco? Se fosse allo sfascio per l'assoluto potere del- mi si perdoni il linguaggio veterocomunista ortodosso- capitale e del neo capitalismo globale?
Basta, oggi sono sull'avvelenato: questa completa abulia deglia adolescenti mi sconcerta e annichilisce. Come il destino dei docenti e della scuola pubblica.

martedì, novembre 21, 2006

il sesso si sceglie

Oggi sono andata a fare ripetizioni da una ragazza che è la figlia di una giornalista de : Il Foglio, Il Giornale e svariati altri. Si occupa di biopolitica.
Mi ha detto che in Spagna, grazie a una legge dell'illuminato Gautama Zapatero, si può scegliere, senza aver cambiato sesso, semplicemente dichiarandolo, di che genere si vuole essere. Mi sembra molto strano, ma l'idea mi ha folgorato. Insomma, pur restando con tutti gli accessori, utero, ovaie e caratteri secondari, posso scegliere, magari domani, di essere un uomo. Quindi entrare nell'esercito (anche se è già permesso), ricevere la stessa retribuzione di un uomo, scopare a destra e a manca senza sentirmi una poco di buono (sono un uomo, no?), essere rispettata e magari un pò temuta quando parlo, non essere aggredita o comunque nessun "l'hai voluto tu" se decido di uscire da sola la notte, nessuna tastatina nella folla sull'autobus o in discoteca, nessun appellativo "ragazza madre" se decido di fare un figlio da sola, ma semplicemente genitore single, nessun senso di colpa se me ne sto in poltrona dopo una giornata di lavoro mentre è lui a fare i piatti e spolverare...ecc. ecc.
Sembra che il genere nei documenti europei stia sparendo, così come appellativi quali madre, padre, sostituiti con il termine generico di "genitore".
Non ci eravamo battute per il riconoscimento della differenza di genere? E' una perdita? Una vittoria?
Che ne dite?

lunedì, novembre 20, 2006

in stato catatonico


notizie:
- il Papa invita a guidare con prudenza.
- il regista Chabrol dice che una donna vale due uomini.
- gli amici uomini, che un tempo cercavano in una donna sesso easy, ultimamente sostengono di cercare in una donna "la purezza" (in questi giorni l'ho sentito da uomini di diverso luogo e estrazione).
- il bullismo è colpa dei genitori.
- chi comprerà un menù big mac al mac donald contribuirà alla beneficenza che mac donald farà all'infanzia infelice, abbandonata, ferita ... etc.

venerdì, novembre 17, 2006

pensiero plurale e religioni

Secondo la Artendt il male è frutto dell'assenza di pensiero: e il pensiero è frutto di un'attività, in cui l'io diventa duale e sente di non poter vivere con quell'altro sè che si è diventati facendo il male. Per cui astenersi dal male si riduce alla fine con lo stare in pace con se stessi, sempre che si pensi. E sentirsi felici pur compiendio il male vuol dire aver perso quell'interlocutore interno che sono io stesso per me, non sentirlo più, essermi perduto senza neppure saperlo: "Dio mio rendili ciechi" recita un vecchio adagio.
Per pensare occorre ricordare, confrontare, insomma avere un pensiero attivo, non dare nulla per scontato, perchè si fa, persino i forni. Tutto il contrario cui tende la nostra società, che vuole che navighiamo sulla superficie delle cose, che ci vuole vuoti per poterci riempire di ciò che viene deciso nelle oscure sfere del mercato e del potere. Vuoti e superficiali, dai rapporti alle conoscenze. Riprendendo le parole della Arendt, il peggiore criminale, quello che è capace di un male senza limiti, è il criminale che non pensa. Non il male radicale è capace di tutto ma quello senza radici, quello che non ricorda, che non si interroga. Insomma, il vero male, e sono d'accordo, è terribilmenrte banale. E non ci siamo noi terribilmente banalizzati? Ora mi sembra che nella religione, almeno come è intesa e come vogliono farcela intendere certi orientamenti teocon, ci sia un invito ad abbandonare questa sorta di pensiero che è sempre duale, per lasciarsi andare all'obbedienza o a quell'altra facoltà mistica che è la fede. Insomma un certo modo di inteendere la religione e il mercato hanno lo stesso piano: privarci della facoltà di pensare, e forse di sentire e amare davvero. La religione, qualsiasi religione, mal sopporta il pluralismo del pensiero, reclamando alla fine l'obbedienza alla legge, comunque si voglia chiamarla, decalogo o altro. Solo le religioni formali forse lasciano all'individuo la propria responsabilità, quelle che non dicono cosa fare ma la forma che deve prendere l'azione, l'amore nel cristianesimo o la compassione per il buddismo. Solo chi ha sempre in bocca o nel cuore che cosa si dovrebbe fare e secondo quale legge, ossia il cosiddetto benpensante, è quello capace di adeguarsi a qualsiasi legge, basta che sia prescrittiva, anche quella che impone "uccidi". Va bè, stavo riflettendo. Tutto questo per dire che a parer mio occorre ricominciare a pensare perchè davvero " la nostra capacità critica è il segno della nostra trascendenza"....

mercoledì, novembre 15, 2006

decolonizzazione ad oltranza


(continua ... post del 9 novembre)
Ancora decolonizzazione dell'immaginario: resoconto di un congresso italiano sull'argomento ... ci si muove cisi!


La riflessioni sulla decrescita globale sono un tentativo di mettere in discussione l’idea dominante negli ultimi due secoli secondo la quale il progresso dell’umanità si basa sulla crescita indefinita della ricchezza prodotta.
Le riflessioni sulla decrescita pongono interrogativi transdisciplinari che necessitano non solo del contributo degli economisti, ma anche di quello dei sociologi, degli antropologi, degli storici, dei filosofi e degli esperti di scienze naturali; un contributo fondamentale viene dal pensiero ambientalista.
Per motivare le riflessioni decrescita occorre ridiscutere la teoria della crescita analizzandone i presupposti e gli effetti fallimentari.
Il presupposto fondamentale è l’ideologia dell’espansione: espansione della produzione, espansione dell’utilizzo della natura, espansione del consumo in nome del benessere crescente dell’umanità.
L’ideologia dell’espansione è figlia della filosofia meccanicistica assunta nell’800 dagli economisti e mai da loro rimessa in discussione. Due in particolare sono i principi che giustificano l’ideologia dell’espansione:
1) secondo gli economisti la vita sul pianeta sarebbe il frutto di un insieme di meccanismi separabili gli uni dagli altri (e non reciprocamente interconnessi);
2) le attività economiche sarebbero sottoposte alle leggi della meccanica (che sostiene i principi di conservazione dell’energia e di completa reversibilità dei processi) e non alle leggi della termodinamica (che sostiene invece come qualsiasi attività lavorativa porti ad un aumento irreversibile del disordine complessivo).
Gli effetti della teoria della crescita sono tragici e riassumibili in tre considerazioni:
1) la metà dell’umanità non soddisfa i suoi bisogni basilari;
2) lo stato ambientale del pianeta è in via di drastico peggioramento;
3) le spinte all’espansione dei diversi stati e dei diversi attori economici provocano un alto grado di conflittualità permanente.
Per superare la teoria della crescita e i suoi effetti tragici occorre discuterne i presupposti. In particolare occorre che:
1) gli economisti assumano il principio termodinamico della deperibilità dell’energia e della materia (l’energia e la materia non possono essere indefinitamente riciclate per usi umani e la loro deperibilità è rapida, oggi a New York l’80% di ciò che viene acquistato diviene rifiuto entro 2 giorni, ndr)
2) gli economisti assumano il principio secondo il quale la vita sul pianeta è un sistema profondamente interconnesso nel quale le azioni in un settore possono provocare reazioni difficilmente controllabili in altri settori.
Come primo passo concreto occorre che gli economisti e la società intera discutano del problema delle fonti d’energia; dalla Rivoluzione industriale in poi si è registrato un aumento enorme della produzione di ricchezza che ha provocato due effetti sociali collegati:
1) si è passati da una situazione di sottoproduzione ad una situazione di sovrapproduzione endemica;
2) conseguentemente da un punto di vista quantitativo si è passati da problemi di produzione a problemi di distribuzione. Questi passaggi hanno visto la sostituzione dell’uso di fonti di energie rinnovabili (i flussi più o meno continui di energia muscolare, idraulica, eolica) con fonti di energia esauribili (gli stock di carbone e petrolio). Oggi occorre ragionare su un’economia nuovamente basata su fonti di energia rinnovabili e in particolare sulla principale fra esse: l’energia solare.
Come secondo passo concreto occorre che gli economisti e la società intera abbandonino l’idea che il progresso tecnico sia automaticamente produttore di risparmio ambientale: grazie al progresso tecnico negli Stati Uniti oggi si produce un dollaro di prodotto interno lordo con il 25% di energia rispetto agli anni ’80, ma nello stesso periodo il consumo complessivo di energia negli Stati Uniti è aumentato del 30%.
Il progresso tecnico oggi è gestito da una società capitalistica e il capitalismo si fonda sull’asservimento della tecnica e del lavoro all’accumulazione privata; in queste condizioni la spinta all’accumulazione continua inverte completamente le possibilità di risparmio energetico progressivamente scoperte dal progresso tecnico.
L’accumulazione indefinita su cui si basa il capitalismo può reggersi solo se è supportata da un aumento indefinito del consumo. Le strategie per alimentare la cultura del consumismo sono sempre più aggressive e si basano sulla colonizzazione dell’immaginario.
Una delle modalità più efficaci di colonizzazione dell’immaginario è la creazione di relazioni sociali virtuali attraverso il possesso di simboli comuni (non compro una scarpa perché ne ho bisogno per camminare, compro l’ennesima scarpa con il simbolo Nike perché ne ho bisogno per appartenere alla comunità dei possessori di Nike).
Le strategie di colonizzazione dell’immaginario hanno bisogno di una nuova divisione internazionale del lavoro in cui il Nord del mondo tende sempre più a produrre i simboli e il Sud del mondo gli oggetti su cui quei simboli viaggiano.
Questa nuova divisione internazionale del lavoro comporta tre conseguenze:
1) Nel Nord del mondo il capitalismo diviene sempre più immateriale; per produrre simboli occorre infatti che le persone vengano impiegate (e mal pagate) in mansioni nelle quali viene richiesto il loro cervello più delle loro braccia e il cervello diviene maggiormente produttivo di simboli se riesce ad utilizzare per il lavoro gli stimoli che provengono dalla totalità delle sue esperienze di vita).
2) Nel Sud del mondo il capitalismo diviene sempre più materiale: aumenta il numero di operai (il cui totale su scala mondiale è in continua crescita) incaricati di produrre in condizioni di lavoro spesso proibitive gli oggetti su cui viaggiano i simboli.
3) Il frutto combinato dei due punti qui sopra è lo sviluppo di stili di vita sempre più consumisti, sempre più dissipatori di risorse ambientali, rispetto ai quali il progresso tecnico da solo può ben poco.
L’insieme di queste analisi suggerisce con chiarezza la necessità di affrontare la sfida con la teoria della crescita da più punti di vista:
sul piano culturale attraverso una decolonizzazione dell’immaginario;
sul piano economico attraverso un riproposizione delle domande fondanti: cosa produrre, come produrre, per chi produrre (e non solo come ridistribuire equamente quanto prodotto);
sul piano politico attraverso una serie di scelte che accompagnino il processo di decrescita verso obiettivi socialmente e ambientalmente desiderabili.
La decolonizzazione dell’immaginario (il piano culturale) ha bisogno di un superamento della separazione del sapere e della specializzazione frammentata nei processi di insegnamento (altrimenti non sarà possibile superare la visione meccanicistica e antisistemica della realtà); l’introduzione dello studio umanistico (filosofia e storia) nei corsi tecnici universitari (esperimenti condotti in alcuni paesi del Nord Europa) è un esempio importante di controtendenza.
La decolonizzazione dell’immaginario richiede l’abbandono del concetto di “modello”, ossia di quel processo di
creazione di visioni teoriche della realtà a cui tutte le formazioni sociali dovrebbero essere chiamate a conformarsi (il modello sviluppo/sottosviluppo di Truman, o il modello staliniano adottato in molti paesi ad economia statalizzata ne sono due esempi estremi in negativo).
La strada per il benessere passa invece per le specificità ambientali, sociali, culturali, tecnologiche ed economiche di una grande pluralità di formazioni sociali; c'è la necessità di un approccio al benessere e alla cooperazione declinato in funzione delle singole particolarità.
Per rafforzare la decolonizzazione dell’immaginario è necessario ridiscutere anche le parole (che sono fortemente produttive di immaginario): sviluppo (variamente aggettivato), decrescita…sono parole adeguate per indicare l’aspirazione al benessere dell’umanità intera?
Un’economia che si interroghi sul cosa produrre dovrebbe operare una selezione dei settori in cui occorre ridurre o invertire la crescita a partire dai bisogni reali (non indotti dalla colonizzazione dell’immaginario): armamenti, sfruttamento delle risorse naturali, esportazioni, ecc.
Naturalmente nell’operare queste scelte l’economia non può essere scissa dal dibattito politico che ha il compito di discutere anche il tasso di crescita demografica, il livello di libertà individuali, ecc.
Un’economia che si interroghi su cosa produrre dovrebbe porsi anche obiettivi quantitativi rispettosi dell’ambiente e rispettosi delle necessità per i popoli del Sud del mondo di arrivare a soddisfare bisogni fondamentali attualmente garantiti solo a una parte delle società (per concretizzare questa discussione l’Istituto di Wuppertal propone un dimezzamento del consumo delle risorse entro il 2050; presupponendo un aumento demografico del 60% e un’aspirazione all’eguaglianza nell’accesso al consumo, il Nord del mondo dovrebbe diminuire la propria crescita materiale del 5% annuo, mentre il Sud del mondo nell’arco dell’intero periodo dovrebbe al massimo arrivare a raddoppiare l’attuale utilizzo delle risorse, ndr).
In questo senso il protocollo di Kyoto è un primo passo significativo non tanto nella sua portata quantitativa, quanto per l’inversione di tendenza che può simbolicamente rappresentare. Un’economia che si interroghi su cosa produrre dovrebbe ridurre le dimensioni delle sue unità produttive privilegiando l’aggregazione a rete delle attività medio-piccole rispetto alla creazione di grandi impianti (che inevitabilmente sprecano risorse ed energia). Da ciò discende che alcune fra le economie cosiddette “informali” possiedono un potenziale positivo (senza per questo dimenticare che al loro interno possono celarsi sacche di grave sfruttamento): in questo tipo di economie gli artigiani e i commercianti sono proprietari degli utensili di lavoro, e decidono la produzione in funzione dei bisogni espressi da una clientela in diretto contatto con loro (senza ingenerare pubblicità e favorendo pratiche di convivialità).
Un’economia che si interroghi su cosa produrre dovrebbe darsi dei parametri di misura diversi dal Prodotto Interno Lordo. Da questo punto di vista l’Indice del Progresso Genuino (che separa la crescita quantitativa generale del PIL dai suoi costi sociali ed ambientali) è una proposta concreta; la sua adozione permette ad esempio di modificare il giudizio sulla crescita economica registrata negli Stati Uniti durante gli ultimi decenni.
Una politica affrancata dalla schiavitù della crescita dovrebbe favorire la partecipazione popolare e il dibattito democratico. Questi presupposti, oltre ad essere eticamente corretti, sono utili in quanto limitano i contrasti e gli sprechi. Una politica affrancata dalla schiavitù della crescita dovrebbe indirizzare le economie del Sud del mondo verso scelte di sviluppo autocentrato tese a soddisfare i bisogni essenziali della popolazione. Le economie locali (da sole o raggruppate) produrrebbero ciò che necessita al soddisfacimento dei bisogni interni, rispettando i caratteri endogeni del territorio e selezionando gli acquisti e le vendite sul mercato internazionale in stretta funzione di ciò che non ha senso o possibilità di essere prodotto localmente.
In questo senso è necessario che i governi del Sud del mondo decolonizzino il proprio immaginario, rifiutando la riproduzione in loco di modelli di crescita presi dal Nord e perseguendo una strada autonoma per garantire i diritti sociali alle proprie popolazioni.
Una politica affrancata dalla schiavitù della crescita dovrebbe porsi l’obiettivo di tutelare dagli appetiti privati i beni comuni, garantendo un accesso gestito pubblicamente all’acqua, alle energie disponibili, all’istruzione, alla cultura, alla sanità, ai trasporti in comune (ivi compreso l’accesso alla conoscenza il cui potenziale di diffusione sociale non dovrebbe essere privatizzato attraverso la pratica del brevetto).
Una politica affrancata dalla schiavitù della crescita dovrebbe intrecciare il piano globale (ad esempio le discussioni relative alle scelte dei grandi organismi internazionali) con il piano locale; vi sono infatti beni comuni globali (la stabilità finanziaria internazionale, la regolazione sociale delle delocalizzazioni…) la cui tutela ricade favorevolmente sulle comunità locali.
Una politica affrancata dalla schiavitù della crescita dovrebbe accompagnare i processi di decrescita con interventi politici quali la riduzione dell’orario di lavoro e il reddito di cittadinanza, così da socializzarne gli effetti positivi.
Dopo due secoli di primato dell’economia sulle altre forme del vivere sociale una politica di questo tipo dovrebbe ricondurre il livello economico al suo ruolo:
uno fra i mezzi che l’umanità utilizza per realizzare il benessere di tutte le società presenti e future.

domenica, novembre 12, 2006

un salutare sesso

I taoisti cinesi considerano il sesso così naturale e indispensabile per la salute e la longevità umane come la pioggia che cade sui campi lo è per la vita delle piante. Per l'opinione taoista, le relazioni tra il maschio e la femmina sono la principale manifestazione terrena dei principi universali Yin e Yang.

Cominciamo col dire che il sesso, a tutti i livelli, è un atto di purificazione.
Quando facciamo l’amore, a livello biochimico, si scatena una vera tempesta di ormoni, che attiva tutti i sistemi (assi neuroendocrini, circuiti mentali ecc.).
Tra l'altro si ha un aumento della dopamina, un neurotrasmettitore appartenente alla famiglia dele endorfine, la base naturale di quell'estasi che i meno fortunati cercano invano nella droga, e dell'ossitocina, un ormone misconosciuto perché oltre al suo effetto in sala parto, è un modulatore del piacere.
Sotto tutti questi stimoli lo stress ha un picco di attività che facilita il ritorno alla norma (omeostasi), cosa molto rara nella vita moderna.
È proprio questa la ragione principale per cui chi ha una vita sessuale regolare si ammala meno. Per esempio: il raffreddore è una tipica malattia dovuta alla disregolazione del sistema immunitario e rappresenta, quindi, un indice significativo dello stato di salute e della condizione di stress dell’individuo, che secondo la ricerca d'avanguardia è alla base della maggior parte delle patologie.
L’impulso armonico che riceve l’organismo con il sesso accelera il ritmo biologico, stimola l’espulsione delle tossine e facilita i fenomeni di rigenerazione di organi, cellule e tessuti.
Anche a livello psicologico, avere una vita sessuale sana rappresenta una periodica rigenerazione della mente. Permette di staccare da tutto il contesto usuale, di perdere, per brevi preziosi momenti, la cognizione del proprio Io.
A tutti i livelli, la sessualità è aprirsi verso un’altra persona, è la gioia di darsi all’altro, da cui scaturisce il vero piacere.
Alcune religioni di tradizione antichissima, come il Taoismo, considerano la sessualità una delle strade privilegiate che l’uomo ha per raggiungere il Supremo.
Nell’Healing Tao (il “Tao che guarisce”), contrazione ed espansione, cioè quella pulsazione che chiamiamo orgasmo, si susseguono di continuo anche nell’universo. Ecco perché l’orgasmo è vissuto come un’esperienza “oceanica”, che ci fa sentire tutt’uno con il mondo.
Quale sesso?
Ma allora il sesso è la panacea di tutti i mali? Come mai la nostra esperienza ci dice il contrario?
È chiaro che abbiamo finora parlato di una sessualità sana.
Diciamoci la verità: persone con una buona vita sessuale, saranno frequenti, speriamo, nelle lontane Americhe; da noi non tanto.
Una vita sessuale regolare è perfettamente compatibile con le esigenze fisiologiche e psicologiche medie. Il fatto da rilevare è che si tratta ovviamente di persone che hanno stabilito un buon accordo con il partner e che vivono l’esperienza dell’unione con gioia e serenità.
Una domanda interessante è: -dove finiscono le energie che la natura ci mette a disposizione per la sessualità, quando non vengono usate?-
Molto all’ingrosso, fatte salve poche ed illustri eccezioni, in genere finiscono in: malattie, violenza e condizionamenti.
Gli studi in questo senso, partiti già da Sigmund Freud sono, almeno in parte, noti a tutti.
Facciamo ora qualche osservazione sulla nostra vita di tutti i giorni.
Nella pubblicità che, anche se nessuno di noi vuole ammetterlo, ci condiziona pesantemente, i riferimenti al sesso sono talmente diffusi che nei rari casi in cui mancano riaffiorano per contrasto.
La violenza, di cui facciamo il pieno tutti i giorni alla TV e nei piccoli litigi quotidiani, ha quasi sempre un sottofondo sessuale, ben riconoscibile nei media, più nascosto, ma non tanto, nella vita quotidiana.
Questo grande dono che la natura o Dio, secondo il nostro sentire, ci hanno fatto, può volgersi in una vera dannazione.
Ci sono stati ricercatori, come W. Reich che hanno studiato le relazioni tra la mancanza di una vita sessuale sana ed il comportamento irrazionale delle masse.
Il punto è che la sessualità è indissolubilmente legata alla sfera affettiva, e non può esistere una buona vita sessuale senza quella poco scientifica ed evanescente cosa che chiamiamo amore.
Proprio qui si ritrova il senso delle antiche religioni, che vedevano nello sviluppo della coppia la strada per conoscere se stessi e tramite l’altro, entrare in contatto con l’universo.
Idee sbagliate
Facciamo un esempio, sfatando un altro bel mito. Nella nostra visione il sesso è legato alla prestanza fisica, alla giovinezza, al vigore, cosa molto lontana dalla realtà e causa di molti dolori.
Qualcuno avrà sentito dire che gli antichi Hawaiiani apprezzavano maggiormente i partner più anziani, al contrario di noi.
Ma, anche nella nostra realtà, ci sono oggi molte coppie che nella terza età riscoprono o addirittura scoprono, finalmente, le gioie del sesso e senza assilli di performance e di impegni esterni, si passano intere mattinate a letto a fare sesso.
Non fraintendiamo, non si consiglia di aspettare gli ottant’anni, ma è il caso di sfatare schemi e modelli che certa cultura và propinandoci quotidianamente.
Perciò: a) Non è mai troppo tardi; b) Come uno dei Maestri di meditazione dice, non andate a trovare la nonna senza telefonare prima!
Virtuoso e vizioso
Una vita attiva, che in qualche modo corrisponde all'attivazione della risposta di stress fisiologica, stimola anche la sfera sessuale.
Questo si riscontra nel quotidiano, quando a volte davanti a condizioni di stress repentino, sentiamo il desiderio salire. È anche noto in alcune professioni, ad esempio negli artisti e nella persone che devono prendere molte decisioni.
Dall'altra parte, coma abbiamo visto, la sessualità sana è un potente antistress.
Quindi in una reazione naturale s'instaura un circolo virtuoso, in cui la vita attiva stimola la sessualità, e questa riequilibra i livelli di stress.
Quando la risposta di stress è iperattivata (distress), oltre al sistema immunitario e a molte altre funzioni organiche deprime anche la sessualità.
Si entra qui in un inferno di desiderio – repressione, incapacità e senso d'impotenza. Una piccola ricerca realizzata diversi anni fa sui manager evidenziava che, a dispetto dell'iperattivazione generata dal loro lavoro, avevano in genere una pessima vita sessuale.
Viene così a mancare la capacità rigenerativa della sessualità, che al contrario induce nuovi conflitti interiori ed interpersonali, in un troppo noto circolo vizioso.

giovedì, novembre 09, 2006

la decolonizzazione dell'immaginario


Pedagogia
La massima debolezza consiste nell'essere attratti da tutto ciò che ci circonda senza sentire il fascino della nostra interiorità, del nostro silenzio senza solitudine.
Spesso anche i nostri rapporti apparentemente più spontanei sono mercificati dentro una sottaciuta regola di: do ut des.
Non è consolante l'idea che, chissà fra quanti anni, la macchina infernale andrà sicuramente a disfarsi.
Viviamo in un mondo di debolezza e i più deboli sono coloro che non sono consapevoli di esserlo.
Grazie all'intelligenza perversa di un marketing che non distingue il possibile dall'impossibile, oggi un bambino può essere influenzato e accattivato da un qualsiasi mito e anziché trattenerlo nella sfera della fantasia e utilizzarlo catarticamente, è spinto a "possederlo", nelle più svariate forme. Questi processi fissano il legame: gratificazione = possesso e preparano, "per la vita", i giovani consumatori. Credo che sia utile attivare degli osservatori perché il fenomeno venga destrutturato alla base.
La decrescita
La società della crescita non è auspicabile per almeno tre motivi: perché incrementa le disuguaglianze e le ingiustizie; perché dispensa un benessere largamente illusorio, e perché non offre un tipo di vita conviviale neppure ai «benestanti»: è un'«antisocietà» malata della propria ricchezza. Il miglioramento del tenore di vita di cui crede di beneficiare la maggioranza degli abitanti dei paesi del Nord si rivela sempre più un'illusione. Indubbiamente, molti possono spendere di più per acquistare beni e servizi mercantili, ma dimenticano di calcolare una serie di costi aggiuntivi che assumono forme diverse, non sempre monetizzabili, legate al degrado, non quantificabile ma subìto, della qualità della vita (aria, acqua, ambiente): spese di «compensazione» e di riparazione (farmaci, trasporti, intrattenimento) imposte dalla vita moderna, o determinate all'aumento dei prezzi di generi divenuti rari (l'acqua in bottiglie, l'energia, il verde...). Herman Daly ha compilato un indice sintetico, il «Genuine Progress Indicator» (Gpi) che rettifica il Prodotto interno lordo tenendo conto dei costi dovuti all'inquinamento e al degrado ambientale.A partire dal 1970, per gli Stati uniti l'indice del «progresso genuino» è stagnante, o addirittura in regresso, mentre quello del Prodotto interno lordo continua registrare aumenti . È un peccato che in Francia nessuno ancora si sia preso la briga di fare un calcolo del genere. Con tutta probabilità i risultati sarebbero analoghi.Difatti, mentre si cresce da un lato, dall'altro si accentuano le perdite. In altri termini, in queste condizioni la crescita è un mito, persino all'interno dell'immaginario dell'economia del benessere, se non della società dei consumi! Ma tutto questo purtroppo non basta a farci scendere dal bolide che ci sta portando diritti contro un muro, per cambiare decisamente rotta. Intendiamoci bene: la decrescita è una necessità, non un ideale in sé. E non può certo essere l'unico obiettivo di una società del dopo-sviluppo, o di un altro mondo possibile. Si tratta di fare di necessità virtù, e di concepire la decrescita per le società del Nord come un fine che ha i suoi vantaggi . Adottare la parola d'ordine della decrescita vuol dire innanzitutto abbandonare l'obiettivo insensato di una crescita fine a se stessa. Ma attenzione: il significato di decrescita non è quello di crescita negativa, espressione antinomica e assurda che letteralmente è un po' come dire: «avanzare retrocedendo»; e che riflette in pieno il dominio del concetto di crescita nell'immaginario.La difficoltà di tradurre «decrescita» in inglese è rivelatrice di questo predominio mentale dell'economicismo, e simmetrica alla difficoltà di esprimere i concetti di crescita o sviluppo (e quindi ovviamente anche di decrescita) nelle lingue africane. Come è noto, basta un rallentamento della crescita per allarmare le nostre società con la minaccia della disoccupazione e dell'abbandono dei programmi sociali, culturali e di tutela ambientale, che assicurano un minimo di qualità della vita. Possiamo immaginare gli effetti catastrofici di un tasso di crescita negativo! Così come una società fondata sul lavoro non può sussistere senza lavoro, non vi può essere nulla di peggio di una società della crescita senza crescita. Ecco perché la sinistra istituzionale è condannata al social- liberismo, fintanto che non osa affrontare la decolonizzazione dell'immaginario.La decrescita è concepibile solo nell'ambito di una «società della decrescita», i cui contorni devono essere delineati.
Serge Latouche

sabato, novembre 04, 2006

donne e licheni

più scendo in profondità ... più mi rendo consapevole... più continuo a conoscermi ... più non riesco a riconoscermi nella società e nella cultura da sempre prodotta ... come donna mi sento sempre più fuori.
vorrei parlarne. vorrei parlare alle altre donne, se qualcuna ha questa sensazione.
la ricerca di guide, di maestri, di santi e paradisi ... tutti con connotazione maschile. è difficile riconoscersi in pieno. non ci rimane che mentire e dire "sì va bene, è uguale". magari per non disturbare troppo.
"donne e licheni" dice il mio amico corrado quando fa il fascista...
ecco sì... donne e licheni

venerdì, novembre 03, 2006


L’APOCALISSE NUCLEARE DI BUSHPostato il 16 ottobre 2006 [ 06:30 ]
DI CHRIS HEDGES
Truth Dig
La portaerei Eisenhower, col supporto di tre corazzate, la USS Anzio, la USS Ramage, la USS Mason e di un sottomarino ‘fast attack’, lo USS Newport News, proprio in questi giorni sta navigando verso lo stretto di Hormuz, presso le coste iraniane. Le navi saranno sul posto e pronte all’attacco dell’Iran prima della fine del mese. Potrebbe trattarsi di un bluff, potrebbe essere una messinscena. Forse si tratta solo di una dimostrazione di potenza militare americana, ma ne dubito. La guerra contro l’Iran – una guerra che scatenerebbe uno scenario apocalittico in Medio Oriente – è probabile prima dello scadere dell’amministrazione Bush [a novembre 2008, n.d.t.]. Potrebbe già avere inizio entro le prossime tre settimane. Questa amministrazione, che si dice consacrata da un Dio cristiano al fine di ridisegnare il mondo, specialmente il Medio Oriente, all’inizio del suo regno individuò tre stati come "l’Asse del Male", e cioè l’Iraq, ora occupato; la Corea del Nord che, perché munita di armi nucleari è intoccabile, e l’Iran.Coloro che non prendono questa retorica apocalittica sul serio farebbero bene a guardare a persone come Elliott Abrams, che contribuì ad orchestrare la disastrosa ed illegale guerra dei Contras in Nicaragua e che adesso è stato incaricato dall’amministrazione Bush a sovrintendere il Medio Oriente per il Consiglio sulla Sicurezza Nazionale. Abrams ha una visione puerile del mondo, secondo lui suddiviso in buoni e cattivi, noi e loro, le forze delle tenebre e le forze della luce, e questa sua strana, crepuscolare mentalità ha fatto presa sulla maggioranza dei decisionisti che ci stanno rovinosamente portando verso un crisi di proporzioni epiche. Queste persone perorano una dottrina di guerra permanente, una dottrina che, come William R. Polk sostiene, è una leggera variante della dottrina di rivoluzione permanente di Leon Trotsky. Queste due teorie rivoluzionarie hanno la stessa funzione, di intimidire e distruggere coloro che sono classificati come oppositori, di creare un’instabilità e una paura permanente e di zittire i propri cittadini che contestano le decisioni delle autorità in tempo di crisi nazionale. I cittadini statunitensi, lentamente spogliati delle loro libertà, sono nuovamente portati, come un gregge di pecore, verso l’abisso. Ma questa sarà una guerra diversa. Sarà una guerra catastrofica che scatenerà gli incubi più ricorrenti ed apocalittici della visione cristiana. Purtroppo nell’entourage del presidente ci sono di quelli che pensano che tutto questo sia stato preordinato da Dio, addirittura il presidente stesso potrebbe pensarlo. L’ipocrisia di questa crociata morale di cui si vantano non sfugge ai cittadini del Medio Oriente. Si sa che l’Iran ha di fatto firmato il trattato di non-proliferazione nucleare, violandone soltanto una codicilla inserita dai vari ministri degli esteri europei, ma non ratificata dal parlamento iraniano. Non contesto quanto si dice sulle intenzioni dell’Iran di sviluppare armi nucleari, e neppure minimizzo il pericolo che questo comporterebbe, se l’Iran dovesse arrivarci nei prossimi 5-10 anni, ma paragonate l’Iran al Pakistan, alll’India o ad Israele. Queste tre nazioni rifiutarono di firmare il trattato e svilupparono in segreto le armi nucleari. Si stima che Israele possegga dalle 400 alle 600 testate nucleari. La parola "Dimona", nome della località dove Israele le produce, per i mussulmani è diventato sinonimo di minaccia, la minaccia che Israele rappresenta per la loro esistenza stessa. Che cosa hanno imparato gli iraniani dai nostri alleati israeliani, pakistani ed indiani?
Visto che ci siamo attivati per destabilizzare il regime iraniano reclutando gruppi tribali e minoranze etniche perché si ribellassero, visto che usiamo termini apocalittici per descrivere ciò che abbiamo in serbo per il regime dell’Iran, visto che altri stati medio orientali quali l’Egitto e l’Arabia Saudita stanno rumoreggiando di voler sviluppare anch’essi l’energia nucleare, e visto che, semplicemente premendo un bottone Israele potrebbe obliterare l’Iran, cos’altro possiamo aspettarci dagli iraniani? Per di più il regime iraniano ha intuito che la dottrina della guerra permanente implica attacchi preventivi e immotivati. Coloro che a Washington premono per questa guerra sapendo ben poco dei limiti e del caos di una guerra quanto poco sanno del Medio Oriente, credono di poter colpire circa 1.000 siti in Iran per distruggerne il suo potenziale nucleare e azzopparne la forza militare composta da 850.000 uomini. Il disastro della recente guerra di Israele al Libano, dove le incursioni aeree israeliane non solo fallirono nel tentativo di sbarazzarsi di Hezbollah, ma ottennero invece che la popolazione libanese si schierasse con i militanti, non è neanche considerato. Dopo tutto questi "pensatori" non è che vivano in un mondo reale… Il bombardamento massiccio di Israele sul Libano non rappacificò 4 milioni di Libanesi. Cosa succederà quando cominceremo a bombardare un Paese di 70 milioni di persone? Come disse il generale Wesley K. Clark, ora in pensione, ed altri sottolinearono, una volta iniziata una campagna di incursioni aeree è solo questione di tempo prima che tu debba mettere le tue truppe sul terreno, oppure devi accettare la sconfitta, come fece Israele in Libano. E se cominciamo a lanciare bombe anti-bunker, missili cruise e bombe a grappolo sull’Iran, questaa è la scelta che dobbiamo fare: o mandarci le nostre truppe sul terreno a combattere una tanto prolungata quanto futile guerriglia o andarcene umiliati. "Siamo un popolo che dimentica facilmente" disse l’ottobre scorso a New York il dr. Polk, un nostro vero esperto di questioni mediorientali, ad una platea di addetti alla politica estera, "avremmo dovuto imparare dalla storia che eserciti stranieri non possono vincere le guerriglie. Gli inglesi lo impararono dai nostri progenitori durante la rivoluzione americana e lo rei-impararono in Irlanda. Napoleone lo imparò in Spagna. I tedeschi lo impararono in Jugoslavia. Noi avremmo dovuto impararlo in Vietnam, e i russi lo impararono in Afghanistan e lo stanno sperimentando di nuovo in Cecenia, e naturalmente lo stiamo imparando noi in Iraq. E’ quasi impossibile vincere contro la tattica di guerriglia. Siamo inoltre un popolo molto vanitoso. Il nostro stile di vita è il solo stile di vita. Dovremmo sapere che non sempre i ricchi e potenti vincono contro i poveri e meno potenti." Un attacco all’Iran farebbe esplodere il Medio Oriente. La perdita del petrolio iraniano, assieme ai probabili attacchi dell’Iran con missili Silkworm alle petroliere ancorate nel Golfo Persico potrebbero far salire il prezzo del petrolio a 110 dollari al barile. Questo sarebbe devastante per l’economia nostra e mondiale, e innescherebbe probabilmente un’enorme depressione globale. I 2 milioni di Shiiti nel Bahrain, Pakistan e Turchia si rivolterebbero con forza contro di noi ed i nostri deboli alleati. Ci sarebbe un sensibile aumento di attacchi terroristici, anche su suolo americano e grandi sabotaggi a pozzi petroliferi in tutto il golfo. Per le nostre truppe l’Iraq diventerebbe un campo di morte perché gli Sciiti ed i Sunniti per la prima volta si unirebbero contro gli invasori. Tuttavia, la nazione che pagherebbe il prezzo più alto sarebbe Israele. E la triste ironia è che quelli che promuovono questa guerra pensano di essere alleati di Israele. Una conflagrazione di questa magnitudine vedrebbe Israele risucchiato in Libano e costretto ad una guerra regionale, una guerra che segnerebbe il capitolo finale dell’esperimento sionista in Medio Oriente. Non a caso gli israeliani hanno chiamato il loro programma nucleare "l’opzione di Sansone". La bibbia dice che Sansone, aggrappandosi alle colonne del tempio, lo fece crollare, uccidendo tutti intorno a lui, insieme a se stesso". Se siete sicuri di voler essere proiettati in paradiso, lasciando le vostre spoglie ai miscredenti, queste notizie dovrebbero rallegrarvi, se invece siete persone razionali, queste potrebbero essere le ultime settimane o mesi in cui beneficiare di quanto rimane della nostra stanca, morente, repubblica e del nostro stile di vita.
Chris Hedges