Secondo la Artendt il male è frutto dell'assenza di pensiero: e il pensiero è frutto di un'attività, in cui l'io diventa duale e sente di non poter vivere con quell'altro sè che si è diventati facendo il male. Per cui astenersi dal male si riduce alla fine con lo stare in pace con se stessi, sempre che si pensi. E sentirsi felici pur compiendio il male vuol dire aver perso quell'interlocutore interno che sono io stesso per me, non sentirlo più, essermi perduto senza neppure saperlo: "Dio mio rendili ciechi" recita un vecchio adagio.
Per pensare occorre ricordare, confrontare, insomma avere un pensiero attivo, non dare nulla per scontato, perchè si fa, persino i forni. Tutto il contrario cui tende la nostra società, che vuole che navighiamo sulla superficie delle cose, che ci vuole vuoti per poterci riempire di ciò che viene deciso nelle oscure sfere del mercato e del potere. Vuoti e superficiali, dai rapporti alle conoscenze. Riprendendo le parole della Arendt, il peggiore criminale, quello che è capace di un male senza limiti, è il criminale che non pensa. Non il male radicale è capace di tutto ma quello senza radici, quello che non ricorda, che non si interroga. Insomma, il vero male, e sono d'accordo, è terribilmenrte banale. E non ci siamo noi terribilmente banalizzati? Ora mi sembra che nella religione, almeno come è intesa e come vogliono farcela intendere certi orientamenti teocon, ci sia un invito ad abbandonare questa sorta di pensiero che è sempre duale, per lasciarsi andare all'obbedienza o a quell'altra facoltà mistica che è la fede. Insomma un certo modo di inteendere la religione e il mercato hanno lo stesso piano: privarci della facoltà di pensare, e forse di sentire e amare davvero. La religione, qualsiasi religione, mal sopporta il pluralismo del pensiero, reclamando alla fine l'obbedienza alla legge, comunque si voglia chiamarla, decalogo o altro. Solo le religioni formali forse lasciano all'individuo la propria responsabilità, quelle che non dicono cosa fare ma la forma che deve prendere l'azione, l'amore nel cristianesimo o la compassione per il buddismo. Solo chi ha sempre in bocca o nel cuore che cosa si dovrebbe fare e secondo quale legge, ossia il cosiddetto benpensante, è quello capace di adeguarsi a qualsiasi legge, basta che sia prescrittiva, anche quella che impone "uccidi". Va bè, stavo riflettendo. Tutto questo per dire che a parer mio occorre ricominciare a pensare perchè davvero " la nostra capacità critica è il segno della nostra trascendenza"....
venerdì, novembre 17, 2006
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3 commenti:
sai che io invece ho sempre pensato che il male fosse il frutto di assenza di piacere? ... mi sa che ci penserò ... ogni tanto ... a cos'è sto "male" ...
però ... non so ... c'è qualcosa che non mi convince.
Ci sono veramente azioni crudeli molto ben pensate e "azioni", cose strordinarie quasi non pensate, solo istintive o sentite. Anche la dualità ... in realtà la dualità non è un errore perchè nega o scinde l'essere uno, l'unità, ma perchè riduce i 20, 200, 20.000 a 2, alla dualità. L'integrità, essere Uno significa essere tanti, non significa solo unità di due...
comunque è vero ed è espressa perfettamente : "la nostra capacità critica è il segno della nostra trascendenza".
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